A.C. 9-A ed abbinate
Grazie, Presidente. Oggi discutiamo un provvedimento importante, destinato a lasciare un segno oltre che nell'ordinamento giuridico anche nella cultura e nel senso comune del Paese: prova ne sono le venticinque proposte di legge abbinate da cui è scaturito il testo oggi all'esame dell'Aula e prova ne è anche il fatto che una di esse sia, come veniva ricordato, la proposta di iniziativa popolare avanzata da decine di associazioni, enti locali e da 200 mila cittadini con la campagna L'Italia sono anch'io, a conferma del fatto – lo voglio dire subito – che nella società italiana è cresciuta la sensibilità su questo tema e che il Paese è pronto ai cambiamenti che ci accingiamo a introdurre.
Tutti abbiamo chiaro che l'immigrazione è un fenomeno ormai strutturale, destinato a cambiare la società italiana. Sono circa 5 milioni gli stranieri residenti regolarmente e stabilmente in Italia, ormai una componente essenziale della nostra società. Sono l'8 per cento circa della popolazione italiana.
È una presenza che negli ultimi anni si è consolidata con una forte tendenza ai ricongiungimenti familiari e alla stabilizzazione e che, in parte, compensa, in parte, lo ripeto, il nostro calo demografico. In Italia, oggi, almeno uno straniero è presente nel 7,4 per cento delle famiglie e nel 13 per cento dei matrimoni, per esempio. Nel 2014, 130 mila stranieri hanno acquisito la cittadinanza italiana, il 30 per cento in più rispetto al 2013; i nuovi nati da genitori stranieri sono stati 75 mila, circa il 15 per cento del totale; gli alunni stranieri nelle scuole dell'obbligo sono ottocentomila, il 9 per cento della popolazione scolastica, con punte anche del 40 per cento in alcune scuole, in alcuni quartieri particolari, e la metà di questi sono nati in Italia.
Gli immigrati sono ormai, anche, una componente importante della nostra economia; due milioni e quattro di occupati che producono 123 miliardi di euro, l'8,8 per cento del PIL, oltre trecentomila sono titolari di impresa, 45 miliardi di euro di reddito dichiarato, 6,8 miliardi di euro di gettito Irpef, 10 miliardi di euro di INPS. C’è uno studio della Fondazione Moressa che ha stimato il rapporto fra gli introiti fiscali e previdenziali e i costi per lo Stato prodotti dagli stranieri e questo rapporto genera un saldo attivo di 3,9 miliardi di euro. Dati, questi, che fotografano una nuova realtà del Paese. Le nostre città stanno cambiando, vi convivono lingue, culture e religioni diverse; abbiamo bisogno di elaborare questi mutamenti, superare i pregiudizi, imparare a conoscerci e a riconoscerci come parte della stessa comunità sociale, trovare il senso di un nuovo patto di convivenza.
Ora, il mondo della cultura, dei media, le formazioni sociali possono favorire questo processo, la politica e le istituzioni devono sostenerlo con adeguati strumenti legislativi. Cambiare le norme per l'accesso alla cittadinanza è un passaggio decisivo sul piano culturale, su quello degli effetti concreti che può produrre. Oggi, quella di tanti migranti è una appartenenza monca alla comunità sociale, relegati in una condizione di minorità, di esclusione; spesso non ce ne accorgiamo neppure, viviamo e lavoriamo ogni giorno accanto a persone che consideriamo a tutti gli effetti nostri concittadini, ma che, in realtà, non hanno gli stessi nostri diritti.
La nozione di cittadinanza come pura iscrizione anagrafica, vincolata a un potere concessorio che enfatizza il valore simbolico dell'esclusione di chi ne è privo, stride con l'idea sempre più diffusa nel senso comune di cittadinanza come appartenenza a una collettività di persone. Sei cittadino non in base a dove e a da chi sei nato, ma perché in questo territorio vivi, lavori, costruisci affetti e relazioni, condividi diritti e doveri, ti fai parte attiva e consapevole di una comunità.
E, allora, la legge è bene che si adegui a questa evoluzione del concetto di cittadinanza e il testo che oggi discutiamo è un passo avanti decisivo in tal senso; riguarda, come è stato detto, le nuove generazioni, quelle da cui dipenderà il futuro della nostra società. Ogni anno, l'ho già detto, decine di migliaia di bambini nascono da genitori immigrati, altri arrivano qui piccolissimi, frequentano le nostre scuole, imparano la nostra lingua, giocano con i nostri figli, fanno il tifo per le stesse squadre, crescono fra noi, ma restano stranieri. Come non capire che questa è una bomba a orologeria per la coesione sociale, per il futuro della coesione sociale nel nostro Paese ? Allora è bene che i bambini e le bambine che nascono da immigrati stabilmente residenti in Italia siano italiani; non solo, è bene che lo siano anche quelli che in Italia non sono nati, ma ci arrivano da piccoli, da piccolissimi e qui compiono il loro percorso di crescita e il loro percorso scolastico.
Conciliare ius soli temperato, come veniva spiegato dalla relatrice, e ius culturae è la soluzione a cui è giunta la Commissione, dopo un lungo confronto. Io credo che questa sia una buona mediazione fra le diverse ipotesi previste dalle diverse proposte di legge sui requisiti necessari per accedere alla cittadinanza.
Personalmente, lo voglio dire, ritengo che, laddove ci sia un reale percorso di integrazione della famiglia, si debba facilitare il più possibile l'accesso allargando la platea degli aventi diritto. Da questo punto di vista, valutiamo se il requisito del possesso della carta di soggiorno UE previsto dal testo non sia troppo penalizzante e se non sia forse preferibile sostituirlo con il principio della residenza legale protratta per cinque anni continuativi e consecutivi.
È bene che il testo che stiamo esaminando lasci ai giovani la possibilità di avanzare direttamente la richiesta qualora non l'avessero fatto i genitori dopo il compimento dei 18 anni, così come è bene l'intento di agevolare il percorso di quelli che non rientrano nel requisiti dello ius culturae ma sono comunque arrivati in Italia da minorenni prevedendo che possano chiedere la concessione della cittadinanza con sei anni di residenza regolare e un titolo di studio.
Penso anche che per favorire l'ampliamento della platea dei giovani coinvolti sia opportuna una norma transitoria, e in qualche modo veniva accennato dalla relatrice, che consenta l'accesso ai benefici della legge per un limitato lasso di tempo a chi, pur avendone maturato i requisiti prima della sua entrata in vigore, ne resterebbe oggi escluso perché non rientra più nei limiti di età previsti. Miglioramenti ancora possibili, in sostanza, a un testo già molto buono che rappresenta un grande passo avanti per il nostro ordinamento, che è frutto della mediazione tra punti di vista diversi, accomunati però – e questo è l'importante – dalla convinzione che il tema dell'immigrazione vada affrontato fuori da ogni approccio ideologico, con realismo, con responsabilità, guardando al futuro del Paese nell'ottica della coesione sociale, dei diritti e della dignità di tutte le sue componenti.
Il Paese è pronto a questo cambiamento, ce lo dicono molti segnali, ce lo dice il segnale delle 200 mila firme a sostengo di questa legge, come prima dicevo. Questa non era una cosa da dare per scontata perché per tante persone colpite dalla crisi, preoccupate per il proprio futuro, poteva non essere facile impegnarsi anche solo con una firma per i diritti degli altri. Invece, lo hanno fatto, a riprova dell'orientamento favorevole della società italiana su questo tema, confermato del resto da tutti i sondaggi e le ricerche in materia.
Penso che siamo già una società nuova in cui nativi e migranti hanno la medesima necessità di lavoro, di sicurezza, di vita sociale, di identità culturale e religiosa e penso che è ora che abbiano anche uguali diritti. È ora di capire che più diritti e sicurezza per alcuni significa anche più diritti e sicurezza per tutti, ed è ora di capire che non è in gioco la tutela di una minoranza, ma la tenuta e la qualità della nostra società e della nostra democrazia.